Demaizière e Teurlai (2016).

Quando “Rocco” inizia, dalla primissima inquadratura, le aspettative calano subito, quasi in misura inversamente proporzionale rispetto all’elevarsi dell’oggetto rappresentato. Ci si aspetta la creazione e celebrazione di un mito, un’idolatria fine a se stessa che non può che annoiare terribilmente. Il bello di “Rocco” è invece il programmatico disfarsi di tali aspettative, attraverso il vero eroe del film, il cugino Gabriele. Egli, aiutante fedele e senza talento come Igor per Frankenstein, rappresenta l’anomalia del mondo del porno: si ostina, dopo decenni, a vedere in Rocco un contorno oltre al fallo (avendo peraltro anch’egli provato la stessa carriera, ma con magrissimi risultati); si esalta per le sue prodezze registiche nel riprendere il cugino (ma poi quando riguarda le riprese si accorge di non aver premuto REC e viene insultato dal Siffredi nazionale); si ostina nell’ideare trame arzigogolate, orge simboliche prima che sessuali, mentre l’industria – incarnata dal mostro sacro di Rocco – lo sminuisce costantemente; si deprime e intristisce nell’accompagnare il pornoattore verso il suo ultimo film, leggendo nella chiusura dell’arco del mito il suo più totale fallimento. Gabriele, il vestito fra i nudi, il visionario tra i desemantizzati, l’originale fra i seguaci della coazione a ripetere, mette in scena la morte del suo cigno, la crocifissione di Rocco e il suo contrappasso. Poi, durante il brindisi finale, si mette in disparte dal cast, osserva il suo flut, e chiedendosi se di lui sia emerso il ridicolo o il sublime cede per l’ennesima volta gli applausi alla vera star. Lui, che voleva solo un po’ di trama, che aveva un progetto. Gabriele, io tifo per te, te che sei il vero protagonista di Rocco, l’ombra volontaria, scintilla di creatività che move il sole e l’altre stelle.


Se non si era capito, “Rocco” è un gran film, ma solo, paradossalmente, perché è un film su Gabriele.
[No, con il film, per me, la sessualit
à di Rocco non c’entra una mazza…che doppio senso ardito].