Noi e la Giulia, diretto e interpretato da Edoardo Leo, è una commedia che funziona. E già dire questo, nel panorama di un cinema italiano stantio e che spesso fatica a spiccare per qualche prodotto brillante, è una soddisfazione. La commedia di Leo si ritaglia un piccolo spazio, quello aperto dal divertentissimo Smetto quando voglio (Sydney Sibilia, 2014). Si parla nella fattispecie dello spazio del “si ride per non piangere”, ove la commedia si intreccia con il tessuto sociale problematico di un’Italia retrograda e che non dà speranze. Attenzione però alle facili tassonomie. Non è, per intenderci, cinema militante in senso stretto quello che Leo propone, e anzi non potrebbe essere più lontano da quella realtà. Il tema sociale è affrontato con taglio televisivo, adatto un pubblico alfabetizzato a suon di fiction Rai (che dolore), e tuttavia riesce a strappare qualche sincero sorriso anche allo spettatore poco più esigente.

Il cast è funzionale ma non brillante quanto quello, molto simile, di Smetto quando voglio, che era una commedia decisamente più spinta, azzardata, audace per via della schiettezza che adottava nel parlare di temi amari. Qui le atmosfere, estremizzate nel film di Sibilia da una fotografia satura e allucinata, sono appianate da personaggi a tratti smaglianti a tratti insipidi. Come per Argentero che si costringe in un forzato, e francamente inutile, accento piemontese, o Stefano Fresi che potrebbe osare di più (ma è comunque bravo). Amendola è una caricatura efficace, posto che si sia capaci di non prendersi, tutti, sul serio; altrimenti qualcuno potrebbe offendersi. Leo dal canto suo convince, e chi vi scrive auspica che prosegua per questa strada, anziché proseguire a svilirsi con menate da lobotomia televisiva inenarrabili (robe di preti, nonni ex-medici, et similia).

Insomma il film piace, è ben costruito, eppure fatica ogni tanto a lasciarsi alle spalle certi cliché formali a cui il cinema apertemillevirgolette-sociale-chiusemillevirgolette italiano sembra inevitabilmente legato. Nella fattispecie ci si riferisce a una certa vena patetica, stile buoni propositi della notte di Capodanno, che ha sapore d’inutilità. Non è difficile ipotizzare che il film ne avrebbe guadagnato in qualità senza la penosa scena del terrazzo, quella in cui i protagonisti mettono in piedi le proprie personali apologetiche del fallimento, così come senza il bruttino montaggio che che illustra il processo di abbellimento dell’agriturismo, tutto fiori e bei sentimenti.

Per il resto, lo si ripete, vale la pena spendere il proprio tempo per guardare Noi e la Giulia; è una favoletta contemporanea onesta, fa ridere, quantomeno abbozza con un po’ di dignità certi temi (razzismo, mafia, estremismi politici. NB: da non prendere sul serio, il cinema che parla di queste cose è altro!!) rendendoli appetibili per un pubblico medio. Ovviamente si potrebbero ficcare le dita in diverse piaghe, ma se è vero che il cinema non è solo Corazzate Potëmkin (eppure quello è un capolavoro, e Fantozzi lo sapeva benissimo) questa volta diamo a Leo quel che è di Leo, che ha in conclusione girato una piacevole commediola.

Nota aggiuntiva: il finale di Smetto quando voglio era il coronamento di un film spietato e distruttivo, quello di Noi e la Giulia è un’ammucchiata di finto-speranzoso buonismo; al lettore l’onere scegliere la via migliore.