Wright (2017).

“Un film che deve essere visto”, questo l’accattivante claim. Mah, io, che mi fido, l’ho visto, ma sono dubbioso, su moltissimi fronti. “L’ora più buia” è in effetti un film curato, ma francamente arido. Per carità, Gary Oldman bravissimo. Ma avevamo bisogno di 70 kg di trucco addosso e un’interpretazione caricaturale, quasi macchiettistica, per saperlo? E la storia dei kg di trucco è in effetti applicabile non solo al mostro sacro Oldman, ma pure al film intero, che si perde in retoriche formali un po’ facilone (prime fra tutte le insistite riprese digitali dall’alto), e che sostanzialmente romanza con tono da fumetto (non è un male di per sé, eh) Churchill trasformandolo nella solita storia del genio sregolato, farneticante e a metà fra il coglioncello e il fenomeno. Il resto è l’asciutta rassegna dell’avvicendarsi del Regno Unito (notoriamente regno di civilissimi galantuomini e patrioti) di fronte all’avanzata nazista verso Dunkerque (e in effetti il film è la controparte oltremanica ideale del Dunkirk nolaniano, già film mediamente dimenticabile), ove il dramma della Storia è compresso nei crucci di Sir Winston, senza che lo spettro della complessità intacchi né lo stucco né lo stucchevole. Quasi come in una fiction RAI.


A margine: bello almeno l’indugio semiotico sulla “guerra combattuta a parole” e sul rilievo estremo della comunicazione nei contesti di crisi.