Werner Herzog (2016).

Me ne avevano parlato così così, e invece mi è piaciuto, e molto. I “documentari” di Herzog hanno una caratteristica fondamentale: rifuggono ogni pretesa di oggettività, mirano all’universale attraverso il personale. Così l’impatto di internet sul mondo è raccontato attraverso capitoli e lenti di ingrandimento esplicitamente arbitrari. Herzog mette in dialogo passato e futuro in un susseguirsi di interviste che escludono sistematicamente la “persona comune”. Sono storie di pionieri, hacker, malati di gioco e di radiazioni, astronomi e biofisici, teorici dell’intelligenza artificiale e primitivisti, diversi ma accomunati dal panorama dell’interconnessione globale. Lo sguardo non è fintamente distaccato, come in un reportage di National Geographic, ma anzi presentissimo, a dirci che per comprendere il mondo bisogna intervenirci, farsi tramite mettendoci del proprio. Lo and Behold così più che documentare interpreta, manifestamente e politicamente, l’inedita condizione dell’umano vivere che l’internet ha imposto a tutti quanti, e lo fa con piglio tipicamente herzogiano: l’insieme delle anomalie, il loro programmatico contessersi, fornisce la più completa inquadratura del fenomeno che si vuole comprendere. E i monaci con lo smartphone in mano, adagiati sul muto skyline di Chicago, sono formidabili.