Tremate che…Le streghe son tornate! Il nuovo sposalizio fra horror e sarcasmo

Il cinema horror si è sempre fatto carico, in un modo o nell’altro, di una venatura politica. Le miriadi di rappresentazioni del Male (un male metafisico, archetipico, trascendente) susseguitesi nei decenni della storia del cinema hanno sempre avuto un connotato sociale di qualche genere, dalle fantastorie di Carpenter, che celavano dietro i mostri allegorie colme d’ironia, alle varie e variegate apocalissi zombie, prese a modello come forme di rappresentazione simbolica della società di massa e dei suoi morti viventi. Che dire poi, scorrendo a caso il dito sul mappamondo della screziata filmografia horror a tutto tondo, del divertente e inquietante Drag Me to Hell (Sam Raimi 2009) che proprio a partire dai temi caldi della Grande Crisi tratteggia una storia di orrende maledizioni che non lasciano scampo a coloro che incontrano sulla via poiché colpevoli d’indifferenza, o ancora il fortunato ciclo di Saw che fra piedi tagliati e ustioni da acidi si fa ricettacolo di retoriche del contrappasso che partono proprio dalle presunte “colpe sociali” delle vittime.

Insomma, la lista è lunga e stratificata, proprio come quella di un genere che nonostante vette e burroni si è sempre ritagliato un posto di primo piano nel panorama cinematografico. Siamo dunque qui oggi a recensire un recente e semisconosciuto horror politico dall’estro comico: Le streghe son tornate (Álex de la Iglesia, 2013); e tranquilli non arrivano da Salem o da Eastwick (Rob Zombie 2012 e George Miller 1987), ma dall’altrettanto angoscioso paesino di Zugarramardi. Film girato tra Spagna e Francia, da un regista il cui nome è immeritatamente ignoto ai più, che già aveva dimostrato una sua propria sensibilità stilistica con La ballata dell’odio e dell’amore (2010) senza contare il mediocre Oxford Murders (2008), tentativo di approdo a un thriller spogliato della striatura grottesca che invece è presente negli altri film del regista, cui figurano ancora La comunidad – Intrigo all’ultimo piano (2000), Crimen Perfecto – Finché morte non li separi (2004) e via discorrendo.

Un gruppetto di sbandati travestiti da artisti di strada (Gesù Cristo, il soldatino di piombo, Spongebob, l’uomo invisibile,…) porta a segno una rapina in un “compro oro” nel centro di Madrid. Antonio, José e il figlioletto Sergio, coinvolto nel reato, riescono a fuggire prendendo in ostaggio un taxi, e scelgono come meta per la loro futura vita da nababbi la Francia. A prescindere dal fatto che forse non è il miglior periodo per chiedere asilo politico da nessuna parte, i Nostri sfigati non sanno che per attraversare il confine bisogna passare dal borgo di Zugarramurdi, nicchia di realtà presidiata da streghe fameliche, dalla fame cannibale e intenzionate a conquistare il mondo.

A prescindere da tutto, il film è divertente proprio perché politico e politicamente scorretto. Il punto di vista è fieramente maschile, alcuni direbbero (a torto) misogino, e l’intera vicenda è una metafora dell’esasperazione dei rapporti uomo-donna. I protagonisti sono uomini frustrati e vessati da compagne o ex-mogli. Le streghe, dal canto loro, costituiscono il demoniaco gineceo che degli uomini non può che letteralmente nutrirsi, salvo risparmiare il bambino utile al compimento del rito proto-satanico che le porterà a una nuova gloriosa era – rito, per inciso, compiuto per mezzo di una gigantesca “amazzone” cieca dalle fattezze orribili, e anticipato da una delizioso canto formulaico frutto di una trance sabbatica collettiva. Ma non finisce qui, perché de la Iglesia non banalizza mai, e anzi, pur nella sua voluta scorrettezza, porta alle estreme conseguenze l’attrito fra i due sessi per poi fare il giro di boa palesando l’idea di una complementarietà irrinunciabile. Le streghe necessitano degli uomini, gli uomini necessitano delle streghe, la tensione che sta nel mezzo sostanzia la narrazione e sprigiona le vere caratteristiche dei protagonisti, dal coraggio di Antonio all’amore gay, finora tacito, dei due malcapitati ispettori di polizia, fino all’umanità di José che in una sorta di rivisitazione esoterica del mito dell’androgino di Platone si unisce con Eva, avvenente strega dal cuore buono. Intanto le vicende assurde si moltiplicano e ogni tanto assumono un tono splatter, due streghe transessuali discorrono sulle più inconsuete pratiche sessuali, e alla fine fanno ridere perché declinano in termini fantastici alcuni dei battibecchi che lo spettatore esperisce quotidianamente.

Iperbolico ma terreno, sprezzante ma pietoso, Le streghe son tornate è quindi un calibrato esercizio di sospensione fra l’universo della fantasia, che recupera alcune delle figure più terrorizzanti mai concepite da anima umana (perché cattive, ma perché femmine), e quello della beffa filmica, che vuole sghignazzare di sottecchi con te che guardi.

Il finale, improntato alla speranza, com’è giusto apre un ulteriore spiraglio di malvagità, come a dire che la ritrovata felicità degli innamorati antieroi avrà da rimettersi in gioco una volta svanite le iniziali passioni. Le streghe se la ridono sguaiatamente, e fra loro vi è anche l’ex-moglie (donna d’antipatia rara) di José, perché pregustano la vittoria, ma lo sappiamo tutti che la metafora è di nuovo in agguato, a ribadire come a ogni alto segua un basso, anche nei più viscerali amori.

Chi lo sa se è poi così vero, che i bassi distruggano gli alti. A chi vi scrive piace pensare che invece li fortifichino, che l’amore esista, e che tutto sommato da streghe e rapinatori possa per davvero nascere una bella convivenza.