Cos’è questo Natale di cui tutti parlano ogni anno, nello stesso periodo (che però s’allarga sempre un po’ di più)? Qualcosa di strano, indubbiamente. Già, perché è proprio vero che a Natale tutto è possibile, anche unire una delle festività più sacre del mondo cristiano – la celebrazione della nascita di Gesù – con un cumulo di simbologie e pratiche che in altre epoche, ma pure oggi, in molti non avrebbero esitato a definir pagane.

Tale contraddittoria crasi ha origini più o meno antiche, e non ci importa in questa sede ripercorrerle in via diacronica, eppure rimpolpa se stessa ogni anno grazie a un nuovo set di film natalizi che contribuiscono a creare quella che i più romantici chiamano “magia del Natale”. Che lo vogliate o no è il cinema in primis (e spiace, perché ciò è sintomatico di una società che non legge più, nemmeno piccole perle come Il canto di Natale di Dickens) il motore dello spirito natalizio, la fabbrica dei sogni che ci fa andare a dormire in un mondo di sonni innevati (anche se fuori il cielo è terso e ci sono 10 gradi di troppo), che ci fa tornar bambini e accettare per buone le avventure di uno strampalato vecchio che si glorifica a suon di sfruttamento di gnomi e elfi. I quali per inciso, similmente agli schiavi americani modello Samuel L. Jackson in Django, sembrano felici d’esser sfruttati dal paternalista barbuto

Insomma, onde evitare di indugiare in polemiche ulteriori, ché si sa che chi borbotta a Natale è più banale della pubblicità di un qualsiasi pandorone, ripercorriamo qui per temi alcune delle pellicole che hanno fatto del Natale quello che è oggi, canditi e “dlin dlin dlin” delle renne compreso.

  • BABBO NATALE

Inutile girarci attorno, non c’è Natale senza Babbo Natale, e non c’è “film di Natale” (genere che non ha bisogno di definizioni) senza un Babbo Natale. Che sia vero, che sia un po’ meno vero, che viva nella fantasia dei bambini, che i grandi (sigh) non ci credano più ma poi i figli gli fanno cambiare idea salvando il Natale, e così discorrendo, Babbo Natale è il vero protagonista. Ne abbiamo visti a centinaia, da quello arcinoto di Miracolo nella 34esima strada (1994), annesso a bambinetta sempre più matura di quanto la sua età lascerebbe trasparire (la Mara Wilson di Matilda sei mitica per intenderci), a quello che va via lasciando il posto a un ignaro padre in Santa Clause (1994) e Che fine ha fatto Santa Clause? (2002) e ancora Santa Clause è nei guai (2006). Ci si è messa poi dentro anche Whoopi Goldberg che, orgogliosamente, in Chiamatemi Babbo Natale (2001, Werner) si fece Babba Natala donna e di colore, perché è ora di piantarla con sessismi e razzismi. In sostanza, la lista è infinita, ma quel che si rileva è una costante: nel film di Natale, Babbo Natale in quanto essenza del Natale stesso è sempre in pericolo! Bisogna a tutti costi salvare il Natale, e ciò avviene convertendo i cattivi in buoni, e soprattutto continuando a credere. A cosa? Non è così importante, l’importante è che sopraggiunga un’epifania (non quella del 6 Gennaio, ma quella di Joyce per intenderci).

  • I REGALI

Ingrediente numero due: la corsa ai regali. In un ipermercato americano pieno (fuori nevica, vedi sotto), addobbato, e illuminato da colori caldi e leggermente sfocati, dove tutti corrono per accaparrarsi l’ultima stronzatina, e inevitabilmente il protagonista del film incontra il suo prossimo svincolo narrativo (non trova il regalo, non trova il bambino, trova l’amore, ETC). Primo fra tutti il teutonico Arnold Schwarzenegger che, fra un Terminator e l’altro, si fa giocattolone per il figlio in Una promessa è una promessa (1996). Il dono sotto l’albero è quindi fondamentale, un dono che rappresenta un sacco di cose: alla fine tuo papà lavorava tanto ma ora ha capito che deve passare più tempo con te e ti vuole bene davvero OPPURE Babbo Natale e il Natale sono salvi, tu hai ricevuto il tuo trenino (sì, forse prima di Steve Jobs, ai tempi de La freccia azzurra), e lui ha anche mangiato un biscotto e bevuto il latte OPPURE non importa se tu sia un leone o una gazzella, l’importante è che se ti svegli a metà nottata non corri alla finestra in cerca della slitta che si allontana. La legge del Natale vuole che: i regali saranno già sotto l’albero, e Babbo Natale si sarà appena allontanato oltre l’orizzonte del visibile.

  • IL CENONE (O IL PRANZONE)

Tovaglie rosse, e tavole imbandite di ogni leccornia. Vischio e ghirlande alle pareti. Candele: che belle appena accese! E che brutte quando sono ormai ridotte a mozziconi, ma tanto quello è già dopo Natale. Il cenone (o il pranzone) natalizio è d’obbligo in ogni film di Natale che si rispetti. Sempre prima dei regali, sempre con un camino crepitante acceso e magari due calzettoni rossi (lo sanno tutti da dove arriva quel rosso, vero?) appesi. Prelibatezze e salamelecchi in ogni angolo, zie parlottanti che danno consigli che nessuno ha richiesto. C’è tutto. Nel merito segnaliamo una pellicola dal titolo autoesplicativo, Pranzo di Natale (1999, Danièle Thompson), ma anche e soprattutto una piacevole new entry italiana che finalmente destituisce il luogo comune del film cinepanettone (vedi sotto): Ogni maledetto Natale (2014, Ciarrapico-Torre-Vendruscolo). La scuola è quella del Boris noto a certe nicchie seriofile. Qui cenone e pranzone compongono le due metà speculari dello stesso film, re-interpretate dallo stesso cast, e il gioco è quello della radicalizzazione dei temi natalizi verso il grottesco pungente. Insomma: preparate i tacchini se siete statunitensi o i tortellini se siete bolognesi, e pancia nostra fatti capanna!

  • LA NEVE

Sta cosa della neve è una fissa che tutti vivono nel periodo natalizio. Anche quest’anno, quando, almeno dalle parti della redazione torinese di Smith, non si vede fiocco se non alzando il guardo verso i monti alpini. Ma vi ricordate Jack Frost (1998, Miller)? Lì un uomo, anzi un padre, anzi un Babbo, fa una brutta fine e ritorna nelle vesti di pupazzo di neve, ad accompagnare ancora per un po’ il figliol prodigo. È, a tutti gli effetti, un fantasma del Natale passato, travestito da palla di neve. La neve è pertanto topos costante. La notte cala, i meteorologi menagrami vanno a dormire, e finalmente può nevicare, in un cielo blu stellato (seppur quando nevichi a rigor di logica dovrebbe essere nuvoloso), pronto ad accogliere i sogni di grandi e piccini. Quei sogni che ieri erano di Jack Frost e compagnia bella, e oggi sono nelle mani di personaggi come quelli di Frozen (2013, Buck-Lee), amatissimo da un pubblico variabile (tendenzialmente lo stesso che ama geniali invenzioni come quella dei Minions di Cattivissimo me). Vediamo quindi se anche questo Natale il cielo ci darà un po’ di magia in cristalli bianchi, e altrimenti non disperiamo, si metta su il dvd di Polar Express (2004, Zemeckis) e il gioco è fatto!

  • GESÙ? FORSE IL GOSPEL!

Ah già, si diceva che Natale si chiama così perché è il giorno natale di Gesù. Si tende a scordare questo dato, eppure sarebbe l’origine prima della festa più importante per gli occidentali. Al cinema, onde evitare accuse di apostasia o idolatria (in effetti Babbo Natale non rappresenta un idolo accettato?), si ovvia con una scenetta, messa dove fa meno male, ambientata in una chiesa o nelle sue prossimità. Basta un coretto gospel, o una preghierina come quella fatta attorno al tavolo di Miracolo nella 34strada, e la questione religiosa è sistemata. Certo, esistono anche film esplicitamente dedicati alla nascita di Gesù, ma inevitabilmente siamo fuori dal genere. Consoliamoci a suon di Gospel, spumante, e cori alla porta.

  • IL CINEPANETTONE

Inutile negarlo, in Italia ci siamo inventati un sacco di cose straordinarie. Innanzitutto, è bene ricordarlo, ci siamo inventati il cinema. E di questo magari vi parlerò in altra sede. Poi, ci siamo inventati il panettone. E su questo trascendo, perché non tutti lo amano, e forse nemmeno io. Non contenti ci siamo inventati il cinepanettone, che dovrebbe rappresentare un pomeriggio passato in allegria coi propri famigliari al cinema, durante il periodo natalizio, alla stregua di una fetta di panettone. Ora, criticare i cinepanettoni è un po’ come sparare sulla croce rossa. Di sicuro non si tratta di Fellini. Eppure, inutile negarlo, rappresentano una corrente (oggi in declino) che ha detto qualcosa, non solo sul Natale, ma sull’intera concezione che di esso ha avuto una fetta della società italiana. Il Natale come opulenza sfrenata, lusso e pernacchie, messinscena di una tipologia della felicità basata interamente sull’avere, e per niente sull’essere. Fateci caso, i protagonisti dei cinepanettoni (la coppia Boldi-De Sica e il variabile universo di macchiette disperate che vi gravitavano attorno) inizialmente andavano a sciare a Cortina o St.Moritz, vedevano un paio di tette e si urlavano vicendevolmente “Bestia che roba” o “Fijo de na mignotta”. Poi hanno iniziato a viaggiare verso mete esotiche e costosissime: Sudafrica, India, Stati Uniti, Miami,…e si urlavano vicendevolmente “Bestia che roba” o “Fijo de na mignotta”. Cambia il contesto geografico, ma i protagonisti sono gli stessi, ricchi e cretini. Mai visto “Vacanze di Natale in Darfur”. È indicativo, pensiamoci.

  • I CINICI, MA CHE POI ALLA FINE SI RAVVEDONO

Ultimo ma non ultimo, e anzi primo, è il tema natalizio per eccellenza, quello già accennato diverse volte: la conversione dei cattivi in buoni. Sembra che Natale al cinema rappresenti un colpo di spugna, un momento fuori da ogni contesto in grado di surdeterminare tutto e tutti. È il caso, fra i più noti, di esempi come Il Grinch (2000, Howard), ove un Jim Carrey non brillantissimo impersona il mostro verde senza cuore che però, a suon di coccole e pan di zenzero (o qualche menata del genere), diventa il più buono dei buoni, o ancora The Family Man (2000, Ratner), ove l’espressivo – anche se tutti aggiungono a tale aggettivo il prefisso mono-, chi vi scrive non è d’accordo – Nicolas Cage scopre, che palle, di essere un uomo distratto che deve rivedere le sue priorità. O ancora un classico dei classici, quello che tutti associano a Tim Burton e non c’è modo di dirgli che lui fu produttore ma non regista: A Nightmare Before Christmas (1993, Selick). Qui è il mostro dei mostri, Jack Skeleton oggi icona pop, a convertirsi al bene, così come, con modalità diverse, accade in Babbo bastardo (2003, Zwigoff). Insomma Natale è prima di tutto dei cinici, ma quelli che poi si ravvedono. Verso di loro punta l’obiettivo della cinepresa, trasformandoli da figure meravigliosamente deprecabili a melliflui buontemponi.

Ma questo, banalmente e felicemente, è il Natale. Quel momento che rende tutti più buoni, così come fece col sempiterno Ebenezer Scrooge di Dickens (e poi della Disney, e poi del cinema, e poi dei fumetti, e via discorrendo). Accettatelo, non se ne scappa, come dimostra Tim Allen in Fuga dal Natale (2004). Se non ci credete sintonizzatevi questa sera sul solito canale, e godetevi per la novecentesima volta Una poltrona per due. Tranquilli tutto questo sta quasi per finire, da dopodomani si pensa a Pasqua!