C’era una volta. L’incipit degli incipit, la base di tutte le grammatiche favolesche, la locuzione in grado di trasportare chiunque in spazi e tempi indefiniti e magici. Ma C’era una volta significa anche, sotto sotto, che adesso non c’è più, che quel che si sta per raccontare fa parte della topia del racconto stesso, e che è bene stare a sentire perché sennò si rischia di perdersi mondi che non si possono vivere altrimenti.

Di C’era una volta è pieno il mondo, tant’è che il cinema si è appropriato della favolistica espressione per costruire una miriade di titoli. Certo, alcuni li avrete senz’altro sentiti, ma siete sicuri di conoscerli tutti? Ecco a voi alcuni dei film:

  •   C’era una volta in America (Sergio Leone, 1984): chi non ha mai sentito parlare dell’imponente kolossal di Sergio Leone, la cui ultima bellissima versione dura la bellezza di 241 minuti! Un’epopea in salsa gangster in una New York meravigliosa e maledetta, raccontata in un meccanismo di sbalzi temporali e interpretata da un cast stellare. Il “C’era una volta” italiano è traduzione diretta dell’analogo Once Upon a Time inglese, a sottolineare la dimensione narrativa di una “favola delinquenziale” che resterà nella storia del cinema. C’era una volta, e ci sarà ancora, per sempre.

  • C’era una volta il West (Sergio Leone, 1968): ecco di nuovo il Leone nostrano, riconciliato con il suo genere di fiducia: il western. L’epicità di questo film, primo della cosiddetta Trilogia del tempo e seguito da Giù la testa (1971) e dal già citato C’era una volta in America, e il suo sapore avventuroso ne fanno un’opera a sua volta cristallizzata in un tempo altro, quello dove si avvicendano i personaggi della cittadina immaginaria di Sweetwater. “C’era una volta” è nel titolo come nell’intero genere incarnato da questo film, un genere che non può che rifarsi ai fasti immaginifici di un passato che si fa terra dell’altrove, fantasioso multiverso di pistoleri impolverati e banditi senza pietà. Se vi piace Tarantino lo dovete a film come questo!

  • C’era una volta in Messico (Robert Rodriguez, 2003): siamo di nuovo nel western, ma questa volta stemperato e declinato nei termini dell’estetica di Rodriguez. Molti lo amano, molti di più lo odiano. Il film, terzo capitolo della Trilogia dei Mariachi e il cui titolo si deve al feticismo western dell’amico Tarantino, è il tipico pastiche rodrigueziano dove le atmosfere spaghetti si mescolano con situazioni sempre più improbabili e aggeggi inverosimili. Il cast è eterogeneo, da Banderas a Depp, da Hayek a Dafoe, da Danny Trejo (che solo in queste pellicole si trova a suo agio) a Enrique Iglesias (avete capito bene), e diventa una macro-macchietta al servizio di un cinema che fa del “C’era una volta” non tanto un riferimento a un tempo altro nella cronologia, quanto una dichiarazione d’impronta metafilmica: C’era una volta è per Rodriguez l’introduzione a un regno della finzione, e il cinema non può che prendersi carico di questo felice viaggio.

  • C’era una volta in Anatolia (Bir zamanlar Anadolu’da, Nuri Bilge Ceylan, 2011): questo, poco ma sicuro, non lo ha visto quasi nessuno. Eppure, lasciatevelo dire, è un film eccezionale. Opera idealmente bipartita in un due parti e mascherata da giallo: un uomo ha commesso un omicidio, la polizia con lui cerca il luogo dove ha sepolto la vittima. Tuttavia la narrazione superficiale non è che pretesto per un discorso più ampio, un percorso nei panorami meravigliosi dell’Anatolia nella prima parte, colma di campi lunghi mozzafiato, e un viaggio introspettivo nella seconda metà del film. Se proprio si vuole dare un valore al “C’era una volta” di questo film bisogna dire che esso ha a che fare con il dominio dello psichico e dell’analisi interiore: d’altronde ogni istante che passa fa di noi qualcosa di diverso da quel che eravamo una volta, o no?

  • C’era una volta a New York (James Gray, 2013): titolo fuorviante, poiché tradotto liberamente dall’inglese The Immigrant. Lo inseriamo qui solamente come outsider e perché si fregia di una coppia attoriale come poche se ne vedono: Marion Cotillard e Joaquin Phoenix, rispettivamente Ewa (immigrata polacca negli Stati Uniti) e Bruno (figuro di fascino ma cattivo), legati a doppio filo dalle contingenze di una città gigantesca e a volte spietata come New York.

Insomma, “C’era una volta” è una formula magica che può portarci in posti altri non necessariamente a livello temporale, ma su piani sovrapposti, attraverso dimensioni profonde disposte a “pasta sfoglia” (metafora di Greimas). E non finiscono lì, chi di voi non ha sentito parlare di: C’era una volta (Francesco Rosi, 1967), C’era una volta (Der var engang, Carl Theodor Dreyer, 1922), C’era una volta… (Twice Upon a Time, Emeric Pressburger, 1953), C’era una volta (Gennaro Righelli, 1917), C’era una volta un piccolo naviglio (Saps at Sea, Gordon Douglas, 1940), C’era una volta un’estate (The Way, Way Back, Nat Faxon/Jim Rash, 2013), C’era una volta un commissario… (Il était une fois un flic, Georges Lautner, 1971),…