Cannati a Cannes, ma non manCan gli applausi (dadaismi festivalieri)

È di dominio pubblico, il trio nostrano acclamato da critici e non-critici se ne torna in Italia con le pive nel sacco. L’eterogeneo terzetto, Garrone-Moretti-Sorrentino, che ci piace immaginare abbracciato a ballare un satirico can-can per consolarsi (d’altronde in Francia), non è stato richiamato alla Croisette, che in gergo meno altisonante traduciamo con “è stato cannato”. La canna dei fucili retorici del Bel Paese non ha esitato a rispondere a suon di cannonate retoriche. Per questo paghiamo il canone, per sentire banalità su Cannes quando forse miglior risposta sarebbe stata canzonare il trio cannato, cantandogliele bonariamente: dài a chél càn! Tanto, a dirla tutta tutta, ce ne siam dimenticati candidamente poco dopo, ché il tg era finito e le tavole si imbandivano di cannoli a sud e cannolicchi visto che è periodo, canederli a nord-est e canestrelli a nord-ovest. Ma cannibalizzare Cannes non fa mai male, nemmeno a noi di Smith che non potendo permettercelo, l’abbiamo vista solo da lontano, con il cannochiale.

Di Sorrentino che dire: canalizza la sua poetica in un canone già canosciuto (cit. dantesca). In altri termini è un can che abbaia, ma alla fine non morde. Eppure è il più esterofilo, lui può, anzi, he can. This Must be the Place era gradevole, il Sean Penn ex-canterino dalla canopa pelle tirava a campare, e noi contenti lo guardavamo. Ma La grande bellezza, signori miei la grande bellezza che pur mostrava i canotti della Ferilli, dopo un po’ diventava una grande insofferenza, come quando c’è la canicola. Giocava a far Canova, in canina versione. Di Youth che cancaneggiare: cannibalizza l’opera precedente? Pare stantia che sa di cantina? Non lo sappiamo, non l’abbiam visto.

Garrone dal canto suo gioca a fare il cantambanco. Il suo film par di canapa, incanto allucinato in stil cannabinoide, ma pur intessuto con ricami di canutiglia. C’è chi lo incalza di far l’ameriCan, eppur s’ispira alle partenopee fiabe de Lo cunto de li cunti, che qui convertiamo per interesse in Lo canto de li canti. Se Sorrentino parla come fosse di Cantù ma ambisce al Canada, Garrone s’affina e par più conte di Canterbury o cantore cantabrigiano, canestraio di canzonette ch’han candor della canfora.

Quello di Moretti è un film canaglia, il cui canovaccio cangia la cantilena parentale dalla Stanza del figlio a Mia madre. Cantiere famigliare d’alti e bassi, che par un canyon o corso di canoa, sfrutta il candelier di canforo del genere drammatico. Cave canem: Cannes applaude, come vecchi canidi canuti, ma canna anche l’ode alla madre morettiana, candida canefora.

Perché allora scannarci quando Cannes in fretta vola via come fuliggine, mica polvere di cannella da suggere a colpi di cannuccia. E dunque cantiam, che ci passa: “Can caminì, can caminì, allegro e felice pensieri non ho!”.